Giacomo Rizzolatti è considerato il massimo neuroscienziato italiano. Occhi neri penetranti e ironici, capelli bianchi arruffati, baffi spioventi, la somiglianza con Einstein suggerisce al primo sguardo che ci troviamo davanti a un genio. E infatti i neuroni specchio, che ha scoperto nel 1992, sono studiati in tutto il mondo, e considerati alla base dell’empatia, dell’apprendimento, della socialità. Tanto che si profetizza per lui un premio Nobel.
Insensibile alle lusinghe delle università straniere, vive e lavora all’Università di Parma, una delle più antiche al mondo, privilegiando la qualità della vita alle gratificazioni del danaro.
L’importanza dei neuroni specchio deriva dal fatto che essi spiegano scientificamente qualcosa che intuitivamente si è sempre saputo: e cioè che guardando si impara. Una banalità? Niente affatto. Proviamo a entrare dentro il cervello, che, come ormai tutti sanno, è costituito da neuroni che si attivano (sparano, in termini tecnici) per svolgere qualsivoglia funzione. Nel momento in cui vediamo qualcosa, elaboriamo un pensiero, memorizziamo un dato, compiamo un movimento, un certo circuito neuronale entra in funzione, e se potessimo vederlo (come lo vedono gli scienziati attraverso esami di imaging cerebrale i cui acronimi sono conosciuti, Pet, fMRI..) vedremmo una frenetica attività elettrica e chimica in aree specifiche del cervello, come un fuoco di artificio.
Rizzolatti ha scoperto che, nelle aree deputate ai movimenti, le aree motorie, la medesima attività neuronale si verifica sia in chi compie un gesto, per esempio afferra un bicchiere, sia in chi lo guarda. Per questo nell’osservatore si parla di neuroni specchio. Dunque, a livello cerebrale, se ti guardo bere è in qualche modo come se bevessi anch’io, e se ti guardo guidare, è come se guidassi anch’io, e dunque non solo imparo quello che tu fai, ma capisco anche le tue intenzioni.
“I neuroni specchio si trovano nelle aree motorie, e descrivono l’azione altrui nel cervello di chi guarda in termini motori “ spiega Rizzolatti. “Fino a non molti anni fa, si riteneva che il sistema motorio producesse solo movimenti. Noi, partendo da un approccio etologico, senza convinzioni a priori sulla funzione delle aree motorie, abbiamo scoperto che molti neuroni del sistema motorio rispondono a stimoli visivi. Se vedo una persona che afferra una bottiglia, colgo subito il suo gesto perché è già neurologicamente programmata in me la maniera in cui afferrarla. Si verifica una comprensione istantanea dell’altro, senza bisogno di mettere in gioco processi cognitivi superiori. In seguito abbiamo visto che la stessa cosa capita per le emozioni. Per esempio il disgusto. Somministrando a una persona uno stimolo olfattivo sgradevole, come l’odore delle uova marce, si attivano determinate parti del cervello. Una di queste è l’insula, un’area corticale che interviene negli stati emozionali. La sorpresa è stata che, se osservo qualcuno disgustato, si attiva in me esattamente la stessa zona dell’insula. Questo ci consente di uscire da un concetto mentalistico e freddo, riportando tutto al corpo. Io ti capisco perché sei simile a me. Non deduco, ma sento. C’è un legame intimo, naturale e profondo tra gli esseri umani. Il processo non è logico ma intuitivo. “
Secondo il grande neuroscienziato americano di origine indiana Ramachandran, i neuroni specchio sono i mattoni sui quali si è costruita la cultura, tanto che oggi si sta rivalutando Lamarck e la sua legge dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti, secondo cui il patrimonio culturale si trasmetterebbe anche per via epigenetica, creando cioè un imprinting nel cervello che può essere passato alle generazioni future. Si supera cioè il rigido schema dell’evoluzione darwiniana.
Ma non solo. I neuroni specchio sarebbero anche alla base dell’empatia, cioè della capacità di rapportarsi agli altri, di comprenderli, di solidarizzare con le loro sofferenze e le loro gioie.
“In ogni azione, oltre ciò che si fa, conta l’intenzione, il perché la si fa” dice Rizzolatti. Prendo il bicchiere, è l’azione. Come lo prendo è fondamentale per capire l’intenzione. Se per bere, per brindare, o per scagliarlo contro il mio interlocutore, per esempio. E sono i neuroni specchio che ci rivelano l’intenzione in tempo reale, per cui siamo pronti a coprirci la faccia se chi ci sta dinanzi ha intenzioni aggressive. Oggi si ritiene che chi soffre di autismo, ed è cioè incapace di comprendere le azioni degli altri e di rapportarsi agli altri, abbia in realtà una carenza di neuroni specchio, e questo apre la porta alla speranza di trovare qualche forma di terapia farmacologica.”
Empatia significa dunque entrare nei panni degli altri perché il nostro cervello si sintonizza con quello di chi ci sta intorno. Ma non necessariamente con quello di tutti coloro che ci stanno intorno. Si può, come Hitler, essere empatici con gli animali, e mandare gli ebrei nelle camere a gas. Essere generosi con i poveri – purché bianchi di pelle – e mettere i neri in schiavitù. Trattare con riguardo i propri concittadini, e uccidere barbaramente gli stranieri. Essere un marito e un padre esemplare, e violentare altre donne. Dunque i neuroni specchio funzionano a intermittenza?
“Bisogna distinguere tra due diversi tipi di criminalità. Quella che avviene per impulso, e in questo caso di solito non c’entrano i neuroni specchio, la causa è nei lobi frontali poco sviluppati, che non riescono a frenare gli impulsi violenti.
Ci sono invece le persone che hanno piacere a fare del male, a uccidere, e questo potrebbe avvenire proprio per mancanza di empatia, per indifferenza verso la sofferenza dell’altro, che non viene vissuto come uguale a sé, come partecipe della stessa specie umana. Il neurone specchio mi dice: tu ed io siamo la stessa cosa. Ma se per motivi vari, che possono anche essere culturali, l’altro perde i connotati di essere umano, diventa cosa, animale , allora lo puoi sterminare senza rimorso, senza nemmeno considerare che fai del male, come uccideresti una zanzara che ti importuna.”
L’empatia è la base della vita sociale. È, come sosteneva Martin Buber, quella che consente di realizzare il rapporto Io-Tu, cioè tra due soggettività diverse ma equivalenti, rispetto all’Io-Esso, dove l’altro è mero oggetto. E questo, secondo Rizzolatti, può avvenire solo grazie ai neuroni specchio, che pertengono alla sfera intuitiva, non a quella cognitiva. E che si attivano se riconosco me stesso nell’altro. “Se vediamo un cane mordere, i nostri neuroni specchio sparano, perché è un gesto che possiamo fare anche noi. Ma se vediamo un cane scondinzolare, possiamo capire attraverso il ragionamento che ci sta facendo le feste, ma non lo capiamo intuitivamente, perché noi non abbiamo la coda..”
Intuitivo e cognitivo, empatia e cultura, si influenzano a vicenda. Posso con il ragionamento capire ciò che non “sento” attraverso i neuroni specchio, e viceversa posso bloccare attraverso un percorso razionale e culturale l’azione dei neuroni specchio. Questo spiega perché l’empatia si attiva maggiormente , come a cerchi concentrici, verso coloro che ci hanno insegnato a considerare simili a noi: i familiari, i vicini di casa, i concittadini, quelli che appartengono alla stessa religione, allo stesso partito, o tifano verso la stessa squadra di calcio. E viceversa possono venire inibiti nei confronti di chi viene considerato un diverso: l’appartenente a un’altra tribù, quello che ha un altro colore di pelle, lo schiavo…. o l’ebreo.
Da duemila anni il cristianesimo ha demonizzato gli ebrei, gli assassini di Cristo. E questo ha portato ad aberrazioni come l’Inquisizione, la limpieza de sangre. Il nazismo, su questa radice culturale di diversità, ha innestato una potente campagna denigratoria che descriveva l’ebreo come un appartenente a un’altra razza, un subumano, equiparandolo a un animale repellente.
Questo potrebbe spiegare, e lo fa molto bene Simon Baron Cohen nel suo libro La scienza del male: l’empatia e le origini della crudeltà (Raffaello Cortina editore, 2012) come mai l’efferatezza nazista fosse accettata, se non coaudiuvata, da tante persone “perbene”, che ritenevano di avere un alto senso morale, madri affettuose, padri di famiglia rispettabili, cittadini esemplari –e questo vale anche per le leggi razziali in Italia. L’aver trasformato gli ebrei in diversi, in non appartenenti alla razza umana, in animali pericolosi, aveva prodotto una totale insensibilità verso la loro sofferenza, proprio come la maggior parte delle persone (salvo gli animalisti.. ) sono indifferenti alla sofferenza di un topo o di pollo al quale si torce il collo o un maiale che si macella.
I neuroni specchio, insomma, potrebbero essere attivati o disattivati da fattori culturali. È questa l’ultima frontiera della ricerca di Rizzolatti, che aiuta a comprendere anche i grandi cambiamenti sociali della nostra epoca. Pensiamo per esempio all’atteggiamento verso i soldati, che fino a metà del secolo scorso venivano considerati carne da sacrificio macello, e di cui oggi si condividono le sofferenze individuali. O ai movimenti animalisti, che hanno cambiato la nostra percezione delle sofferenze dei mammiferi e dei pesci (ma forse non ancora di quelle dei rettili o degli insetti..). Le modalità secondo cui questo meccanismo inibitorio o attivatorio da parte della cultura agisca sui neuroni specchio ancora non è stato identificato, ma quando lo sarà potrà portare a una vera e propria rivoluzione nella vita sociale e nelle terapie delle malattie psichiatriche.
di Viviana Kasam