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Presentata per la prima volta nel 1961 come parte delle Five Dance Constructions and Some Other Things durante una serie di eventi organizzati nello studio di Yoko Ono a New York, Huddle ripensa in maniera radicale la relazione tra corpo e oggetto, movimento e scultura e consiste nel gesto collettivo di un gruppo di persone che, strette le une alle altre, creano una sola entità strutturale. Dalla sala dedicata al lavoro di Lucio Fontana e con lo sfondo di piazza Duomo, un groviglio di braccia, gambe, busti e teste hanno preso forma sotto gli occhi degli spettatori diventando una scultura fatta di corpi che ad uno ad uno scalano questa massa per poi rientrare a farne parte.
Simone Forti è da oltre cinquant’anni una delle figure di riferimento della danza postmoderna. Dai movimenti minimali dei suoi primi lavori, alle improvvisazioni che coniugano parola e movimento, la sua ricerca ha profondamente influenzato la danza e le pratiche performative contemporanee.
Nata a Firenze nel 1935, ma trasferitasi ancora in tenera età negli Stati Uniti assieme alla sua famiglia per sfuggire alle persecuzioni razionali del Fascismo, Simone non ha potuto essere presente a Milano e Huddle, assieme a Censor, Cloths, Sleepwalkers sono state eseguite sotto la supervisione artistica di Claire Filmon.
Nonostante l’età oramai avanzata non le abbia permesso di affrontare un così lungo viaggio, Simone non ha rinunciato a parlare al suo pubblico utilizzando un video messaggio da Los Angels, raccontando in prima persona la genesi dei suoi lavori. Nelle sue parole la performance Censor – in particolare – diviene quasi una breve favola postmoderna, un racconto nel racconto.
“Questa performance – dice Simone – è stata un dono della rete metropolitana dove viaggiavo ogni giorno e ogni giorno in prossimità di un certo punto il treno faceva un rumore terribilmente forte. Una volta ho cantato il più forte possibile mentre il treno faceva questo grande rumore, e quando il treno è tornato silenzioso anch’io ho smesso di cantare e mi sono guardata intorno. Nessuno degli altri passeggeri sembrava essersi accorto che cantavo a squarciagola”.
E così in questo potente lavoro due performer si affrontano l’uno l’altro: uno scuotendo forsennatamente una pentola piena di chiodi e l’altro urlando con tutto il fiato in corpo. Due onde sonore che si elidono a vicenda fino a ristabilire la quiete.